Di viole e liquerizia (Nico Orengo, Einaudi 2005, pp. 156)
Un sommelier che arriva da Parigi ad Alba per insegnare a degustare i grandi vini francesi, un’enoteca in cui una giovane donna custodisce un doloroso segreto, uno scrittore che si fa chiamare Eta Beta e poi un debito di gioco, vecchie tradizioni e una cascina posta in terra di Barbaresco. Gli ingredienti per una storia carica di incontri, solitudini, sapori e profumi del vino ci sono tutti, le colline delle Langhe fanno da sfondo a una danza vitale che mescola curiosità e rimpianto, passione e gelosia alla ricerca dell’essenza vera delle cose, tra taxisti che bevono birra, produttori di vino, giocatori di pallone elastico, scommettitori, tecnici della vinificazione e turisti stranieri.
La frase
Daniel guardò il bicchiere: altro vino importante. Al colore, Daniel pensò che doveva venire anche quello dal Nebbiolo, era ancora granato con brillantezze di tramonto, quando il sole color di un’arancia da spremere se ne va a morire tra una collina e l’altra, come se stesse ballando il tango con un’allegria melanconica.