Vinitaly 2023, le nostre esperienze dirette

Quattro giorni di incontri, degustazioni, confronti e novità: l’edizione 2023 di Vinitaly non ha tradito le attese (elevate) della vigilia. Ricchissimo il programma di quest’anno così come assai arduo scegliere le masterclass e gli appuntamenti da segnare in agenda con un bel cerchio rosso. Di seguito raccontiamo le esperienze vissute di persona, selezionate per rilevanza, interesse e opportunità di conoscere vini, aspetti e dimensioni che meritavano un approfondimento.

Domenica 2 aprile: il futuro dei Colli Piacentini

La notizia era nell’aria, a Vinitaly è arrivata l’ufficialità: i nuovi disciplinari di produzione dei vini piacentini sono pronti e nei prossimi giorni inizierà la raccolta delle firme per avviare l’iter burocratico di approvazione tra Bologna, Roma e Bruxelles. Se i tempi burocratici lo consentiranno, dalla vendemmia 2024 Piacenza potrà brindare con la sua DOCG. La nascita della DOCG Piacenza è la principale novità della profonda riforma dei disciplinari realizzata dal Consorzio Tutela Vini Doc Colli Piacentini insieme ai produttori locali e con il fondamentale apporto del professor Michele Antonio Fino dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e dei professori Milena Lambri e Matteo Gatti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza oltre che dei tecnici agronomici ed enologici impegnati in prima linea sul territorio. Piacenza avrà per la prima volta una piramide completa dei vini sul modello di alcuni dei più importanti comprensori vitivinicoli italiani. E ci arriverà grazie a un percorso di razionalizzazione che non ha precedenti e potrà servire da esperienza pilota a livello nazionale: per la prima volta si tolgono DOC e IGT invece che aggiungerne. Dalle attuali tre DOC e tre IGT si passerà alla sola DOC Colli Piacentini e alla sola IGT Emilia oltre alla già citata Docg. Quest’ultima sarà formata dal Piacenza Bianco riservato alla Malvasia di Candia aromatica, dal Piacenza Rosso che propone l’uvaggio di Barbera, Croatina ed Ervi con almeno ventiquattro mesi di invecchiamento e dal Piacenza Passito sempre a base di Malvasia di Candia aromatica. All’interno della DOC Colli Piacentini rimarrà centrale la produzione di vini frizzanti di alta qualità, ma sarà valorizzata anche la produzione spumantistica del territorio e troveranno spazio alcune tipologie di vini fino a oggi assenti, come i macerati e i rifermentati con metodo ancestrale che fanno parte della tradizione piacentina. La revisione dei disciplinari porterà poi a un allargamento “verso l’alto” su basi scientifiche del territorio della DOC andando a comprendere alcune zone di alta collina un tempo non vocate alla viticoltura, ma che oggi lo sono diventate a seguito dei cambiamenti climatici in atto e, in chiave futura, potranno offrire garanzie di elevata qualità enologica oltre a nuove opportunità di ripopolamento dell’entroterra piacentino.

Lunedì 3 aprile: matrimonio sorprendente tra Parmigiano Reggiano e whisky scozzese

La proposta era curiosa, la prova personale è stata convincente: il pairing Scotch Whisky-Parmigiano Reggiano è stato proposto con una masterclass organizzata da Scottish Development International. Premessa: il mercato del whisky scozzese è in crescita e nel 2022 è stato registrato un incremento del 21% delle bottiglie esportate a livello globale. Il whiskyè tra i maggiori distillati esportati all’estero e conferma uno storico legame con la Scozia, terra delle migliori distillerie di uno degli spirits più raffinati per eccellenza. Così nella tensostruttura Sol&Agrifood alcune tra le migliori distillerie “single malt” sono state protagoniste di un abbinamento ricercato con le lunghe stagionature del Parmigiano Reggiano: 36, 48, 72 e 101 mesi. La distilleria protagonista del primo abbinamento è stata Arran, piccolo produttore di whisky single malt tra la penisola del Kintyre e la costa scozzese, dove l’acqua per la produzione di whisky proviene dal lago naturale di Loch Na Davie. Il suo Single Malt Barrel Reserve, invecchiato per 7 anni in botti ex-Bourbon, è stato accostato ad un Parmigiano Reggiano DOP stagionato 36 mesi. Il secondo assaggio ha visto l’ingresso di Douglas Laing, un imbottigliatore indipendente, che ha portato nel bicchiere le note marine di Rock Island (Blended Malt) whisky invecchiato 10 anni, prodotto esclusivamente con single malt provenienti da distillerie delle Isole di Islay, Jura, Arran e dalle Orcadi, in abbinamento ad una stagionatura di 48 mesi di Parmigiano. È stata poi la volta di Glencadam, distilleria della Contea di Angus, con quasi 200 anni di attività, che ha portato in scena il suo White Port Cask Finish (Single Malt), un whisky invecchiato 15 anni con spiccati sentori di frutti di bosco, pan di spagna, miele d’acacia e rabarbaro in umido, abbinato a un Parmigiano di 70 mesi. Il gran finale è stato affidato a Tormintoul, distilleria con uno dei malti più delicati dello Speyside, presente con il suo Speyside Glenlivet (Single Malt), un whisky con 18 anni di invecchiamento alle spalle, che gli hanno conferito un profilo aromatico morbido e rotondo, perfetto con la stagionatura di 101 mesi di Parmigiano Reggiano. A proporre e ricercare gli abbinamenti vincenti tra le due eccellenze è stato Walter Gosso, Brand Ambassador di Rinaldi 1957 e barman di lungo corso con una carriera iniziata nei locali storici di Torino, proseguita in Spagna e intorno al mondo, dagli USA al Sud America. Gli abbinamenti più riusciti? Tutti interessanti, ma per noi, in ordine, il terzo e il secondo, sono risultati i più convincenti.

Martedì 4 aprile: salumi e Cannonau, un’esperienza che torna patrimonio di tutti

Pochi mesi fa è ginta una notizia storica per la Sardegna: la fine, dopo oltre 40 anni, dell’embargo sull’esportazione di carni, causato dell’epidemia di peste suina africana. Un momento storico per gli allevatori sardi e per tutti gli imprenditori della filiera che è stato celebrato a Vinitaly con l’artigiano salumiere Antonello Salis. Spinto da una grande passione, Salis si è impegnato nella promozione e nella valorizzazione dell’identità agropastorale dell’isola, collaborando attivamente con il sistema di allevamento. Durante la masterclass ha servito la salsiccia di suino sardo proposta con l’aggiunta di spezie in tre diverse varianti: sale e pepe (la più classica), semi di selvatico e mirto. L’arte salumiera di Salis è stataapprezzata anche tramite l’assaggio della sua mortadella di suino sardo, arricchita con mirto e miele, e della porchetta di suino sardo riscaldata sul momento. Per gli abbinamenti con le etichette selezionate dalle 72 realtà vitivinicole ospitate dalla collettiva sarda, abbiamo intrapreso un viaggio intorno al Cannonau – una delle grandi varietà del mondo, come ha sottolineato più volte Giuseppe Carrus – partendo dalla bollicina, passando per il rosato e arrivando al rosso. Il primo vino proposto, prodotto da una cantina di Oliena, nel cuore della Sardegna, è stato un Cannonau spumantizzato, il secondo, un rosato fermo prodotto in Gallura, mentre il terzo è stato un rosso di Mamoiada, zona dove viene praticata la viticoltura di montagna, caratterizzata da un microclima perfetto. Un’esperienza che ci ha permesso di apprezzare la versatilità del Cannonau e la piacevolezza dei salumi sardi, un connubio di tipicità e artigianalità promosso a pieni voti.

Martedì 4 aprile: olio Evo alla spina contro gli sprechi

Su segnalazione di una collega abbiamo visitato lo stand dell’impresa agricola Bonsignore per conoscere LongEvo, il primo impianto di spillatura dell’olio sotto azoto per il mondo della ristorazione italiana. Nasce da un percorso di ricerca e sviluppo portato avanti dall’azienda con l’obiettivo di offrire ai ristoratori un prodotto perfettamente fragrante e di alta qualità anche a distanza di mesi dalla molitura. Grazie alla conservazione sotto azoto, infatti, l’olio extra vergine di oliva preserva integralmente le sue qualità e i suoi aromi nel corso del tempo e permette di essere spillato sempre e solo nella quantità desiderata. I vantaggi? Si abbattono drasticamente l’impatto ambientale della produzione e lo smaltimento di lattine e bottiglie. L’assaggio dell’olio ha confermato la qualità dichiarata; in un mondo ancora percorso da numerosissimi sprechi, la proposta è sicuramente da prendere in considerazione. Il titolare ci ha raccontato che l’obiettivo è aumentare la produzione facendo rete tra produttori del territorio.

Mercoledì 5 aprile: una verticale toscana coi profumi di Capalbio

Ai piedi del borgo medievale di Capalbio, nella parte più meridionale della Toscana, la tenuta Monteverro dista pochi chilometri dal mare e si contraddistingue per i suoi caratteristici pendii dal terreno sassoso di argilla rossa. A Vinitaly la cantina ha proposto una verticale del vino Monteverro riservata ai giornalisti, a guidarla è stato il giovane e preparato enologo Matthieu Taunay. Premessa: le vigne sono state piantate dal 2004 al 2006, la prima annata di produzione è stata la 2008. In verticale abbiamo assaggiato le annate 2010, 2012, 2013 e 2018, per concludere con l’anteprima 2019. La 2010 è figlia di un’annata abbastanza fredda, la vendemmia è stata condotta da metà settembre a fine ottobre. Le vigne erano ancora giovani, la necessità di dare maggior volume ha portato a una raccolta ritardata e a una macerazione di 35-40 giorni. In bocca il vino è ancora fresco, emergono con il passare dei minuti alcune note di territorio, tra cui una scia salmastra di salicornia. La 2012 è figlia di un’annata siccitosa che ha portato a vigne poco vigorose, rese basse, acini piccoli. Gli assaggi sono stati determinanti per trovare il giusto equilibrio. Il risultato? E’ un vino più magro del precedente, ma privo di durezze negative e con una tensione che interpreta bene l’annata. La 2013 è figlia invece di un’annata molto calda e più generosa. L’uva raccolta in condizioni molto buone ha beneficiato del limitato sviluppo fogliare dell’anno precedente. In bocca aumenta il volume e diminuisce la freschezza rispetto all’assaggio precedente, ma resta una coerenza interpretativa. Passando al 2018 si percepisce la capacità accresciuta di lettura della vigna: con una primavera abbastanza turbolenta e maturazioni molto disomogenee nelle diverse parti della vigna è l’anno in cui emerge il Cabernet Franc come attore principale del blend, che arriva a un 40% di presenza eguagliando il Cabernet Sauvignon ma imponendo la propria impronta timbrica al naso e in bocca. L’anteprima 2019 ci fa ripensare alla grande annata 2016 per premesse di eleganza e potenzialità evolutive. Rispetto all’anno precedente il clima è stato leggermente più freddo: in bocca i profumi di macchia mediterranea riconoscibili fin dalla 2008 sono già ben distinti seppur ancora in nuce, ma le premesse per un’ottima annata sembrano esserci tutte.

Luca Casadei